rai loghi
Lo avevo promesso e non l’ho dimenticato ma non sono solito commentare a caldo cose importanti. Per analizzare in modo adeguato operazioni di rebranding o restyling come l’ultima della Rai è necessario il giusto tempo, lontani da polemici, annoiati e webeti.


Settembre è ormai alle spalle e l’opinione pubblica ricorda (di un’operazione a dir poco rivoluzionaria) solo un dato, il costo di una consulenza: 350.000 euro (fonte l’Espresso). Questo è decisamente triste.

È triste perchè come spesso accade (non solo nel nostro paese) ci si è adagiati in fretta sulla superficie, con un po’ di sana ignoranza. La cosa che più stupisce è però che anche chi solitamente potremmo annoverare fra le fila dei commentatori più avveduti non ha fatto sforzi per andare oltre, anche soltanto attraverso una semplice ricerca su Google.

Superando le polemiche delle prime settimane, infatti, ci si rende conto di un’enorme evidenza che rende vana ogni riga di testo scritta sinora: la Rai non ha soltanto rinnovato loghi e bumper (quei video brevi prima e dopo un programma o la pubblicità) ma lo stile espressivo e il modo di pensare la sua comunicazione visuale.

Cambia così del tutto il terreno di discussione. Un commento degno di tal nome non può che spostarsi dal campo tecnico-operativo concentrato su qualche decina di “icone”, che possono piacere o non piacere,  a quello di una complessa strategia di branding che coinvolge un prodotto fragile (la Rai ha sempre sofferto le alternative del marcato libero) su uno dei media più ostici del nostro tempo.

 

sito-rai

 

Basta digitare www.rai.it per rendersi conto di cosa sia successo: l’azienda ha deciso di vendersi in modo radicalmente diverso da quanto fatto sinora (più dinamico e intelligente), non di cambiare semplicemente giacca (il logo) ma l’intero vestito.

Traspare in modo chiaro (da quanto pubblicato nel tempo su diverse piattaforme) un ripensamento generale della filosofia imprenditoriale della televisione di stato che si potrebbe riassumere in tre pilastri:

  • Il protagonista è lo spettatore – bumper e contenuti sono adesso differenziati per target di pubblico e fasce orarie
  • Radici ed innovazione – pur mantenendo a grandi linee l’impronta data nel 2010 con l’ultimo restyling, sembra che l’attenzione sia rivolta ad un futuro che è già presente (la Rai arriva quasi per ultima ai livelli delle sorelle nazionali europee), non dimenticando il passato
  • La presenza su diversi media non vuol dire confusione – finalmente è giunto un pizzico di armonia

 

 

Tutto rose e fiori? Purtroppo no.

Pur riconoscendo grandi meriti ad azienda e consulenti, c’è da fare una critica rivolta non a quanto pianificato in sede teorica ma alle strategie operative con cui si sono declinati progetti e idee nel concreto.

Per questioni di semplicità, per abbattere il rischio di insuccesso e all’insegna del motto “è più facile vendere alle masse l’astratto che uno stile preciso”, si è deciso di affidare al minimalismo esasperato il compito di raccontare l’identità dei singoli canali. Una mossa ad alto rischio che non paga con un lavoro che si, bello è bello, ma non balla.

Consideriamo per un attimo la Rai come “il produttore” e i singoli canali come i suoi diversi “prodotti” con identità specifiche e lontane. I meccanismi di promozione dell’identità del produttore (forzatamente più generici) non potranno mai funzionare se applicati ai suoi singoli prodotti (che richiedono invece una caratterizzazione maggiormente ricca, capace di distinguere i contenuti e il tono di voce, ad esempio di “Rai1” da “Rai3”, prescindendo dai rispettivi palinsesti).

Cercando di essere ancora più chiari: i quadratoni verdi di Rai3 che girano e si spingono fra loro sono molto belli e “freschi” ma in che modo si collegano ad una programmazione improntata all’approfondimento giornalistico e alla cultura, nonché agli ampi spazi dedicati alle autonomie locali (la vera identità del canale)?

 

 

In che modo, mettendo ad esempio a confronto i bumper dei due canali, l’offerta dei quadrati verdi di Rai3 si differenzia dal punto vista visuale e concettuale da quella dei quadrati blu di Rai1 che dovrebbero raccontarci un canale generalista per famiglie?

 

 

Ponendo anche il caso che i creativi abbiamo voluto impossessarsi, come segno distintivo, della forma geometrica del quadrato, sono arrivati parecchio in ritardo.

Sembra che il pubblico abbia accolto comunque bene queste piccole, grandi novità.

Scongiurati quindi i possibili danni (cosa non da poco e mai scontata), penso sia sotto gli occhi di tutti il grande passo avanti che è stato oggettivamente fatto dal punto di vista strategico anche se, in sincerità, potevamo aspettarci di più in termini di risultati. Speriamo che l’azienda e i prossimi consulenti riescano a risolvere in modo definitivo, fra quadrati e colori, un cubo di rubik non proprio semplicissimo ma neanche impossibile.