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Google è una delle più grandi aziende del nostro tempo, con circa 3 miliardi di servizi unici offerti al giorno attraverso il suo motore di ricerca (giusto per avere un’unità di misura, sulla terra siamo circa 7 miliardi), detiene il secondo posto nella classifica 2015 dei cento brand di maggior valore al mondo.

Per una società in continua espansione e con una buona dose di lungimiranza, ogni dettaglio è fondamentale: dal tuo benessere psicofisico alla vita di ogni giorno, soprattutto la vita di ogni giorno.

Si, perché per l’azienda di Santa Clara l’unico grande obiettivo è coccolare senza sosta quei consumatori di prodotti materiali e immateriali vendibili ogni istante (non soltanto in un negozio fisico) e in ogni luogo di questo pianeta (per acquistare la maggior parte dei beni in catalogo basta soltanto una connessione ad internet).

Così, accanto a servizi e prodotti a pagamento, rimangono gratuitamente a disposizione di tutti opportunità e software gratuiti sempre più allettanti e innovativi attraverso i quali usare più volte al giorno il tuo telefono,  controllare la posta elettronica ogni due o tre ore, fare una ricerca per l’ufficio o per piacere.. basta chiedere con le parole giuste e la maggior parte del gioco è fatto in pochi minuti.

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Nell’ottica di un’esperienza giornaliera sempre più coinvolgente, Google ha insomma monopolizzato “gratuitamente” gran parte delle nostre azioni quotidiane. Questa volta, però, abbiamo un posto in prima fila per assistere ad un vero, ultimo solo in ordine di tempo, colpo di genio.

Come dice una massima ormai famosissima nell’era digitale: “Se un servizio è gratis, il prodotto (in vendita) sei tu“.

Questo è quello che sta accadendo da qualche tempo con il Material Design. Google ce lo spiega così:

 

We challenged ourselves to create a visual language for our users that synthesizes the classic principles of good design with the innovation and possibility of technology and science. This is material design.

 

Che dire? Miracolo! Finalmente i problemi che per anni hanno afflitto designer, pionieri del visual e tecnici del settore della comunicazione in generale sono risolti. Un team di super esperti ha finalmente dato vita ad una ragionata, quanto semplice guida, operativa che sintetizza il classico con l’innovazione!

Chissà quanto costerà tutto questo insieme di prodigiose regole, principi e suggerimenti.. è gratis et amore Dei!

A seguito dell’annuncio, dopo le prime verifiche empiriche e tempi di incredulità, ho visto colleghi effettuare appassionate processioni di gruppo verso la chiesa più vicina, smanettoni solitamente inclini alla critica facile desistere da ogni cattiva abitudine e letto pesanti invettive di grandi studi di comunicazione impauriti da una documentazione semplice, efficace – nessuno lo mette in dubbio – e fruibile a tutti. Alcuni hanno persino inneggiato alla morte definitiva del web (per certi versi, posso anche capirli).

Ciò detto, vorrei partire dalla considerazione che non penso si tratti né di una catastrofe né di una panacea per i mali del designer ma di un semplice strumento che, come tale, può essere utilizzato bene o male.

Quello su cui però penso varrebbe la pena soffermarsi è piuttosto la ragione più intima che ha portato Google ad offrire un lavoro di qualità che ha richiesto indubbiamente tanti sforzi, tempo e risorse preziosi.

Provando a mettermi nei panni di una delle grandi menti di Alphabet – holding che ha sostituito e inglobato Google in borsa – ho trovato la chiave di volta nella parola “language” (utilizzata proprio nella definizione di Material design fornita poco sopra).

 

Ho compreso allora che il pericolo non risiede tanto nell’appiattimento del web, la formazione di un nuovo linguaggio visuale universale – altre grandi rivoluzioni della comunicazione hanno portato a fenomeni analoghi e l’umanità è sempre sopravvissuta – o nell’assuefazione dell’utente medio a standard che, per quanto efficaci, riscoprono un po’ l’acqua calda – chi ha studiato storia del linguaggio ritroverà nei manuali di Google tanti concetti già sentiti. Lo scenario peggiore che si è delineato dopo qualche giorno di riflessione ha riguardato designer e professionisti del settore.

Volenti o nolenti, queste due ultime categorie dovranno fare i conti sempre più frequentemente nel tempo con un esercito di entusiasti delle tecniche del Material design. Entusiasti che, in ogni parte del mondo, comunicheranno con il pubblico interpretando suggerimenti di Google non sempre capaci di centrare l’obiettivo ma talmente ben ingegnati da dare l’impressione di una grande libertà – pur pretendendo di determinare anche le palette dei colori da usare fino alla più piccola sfumatura!

La vera questione non è tanto quella di ritrovarci fra pochi anni con una parte del mondo digitale asservito ai canoni estetici di una grande macchina imprenditoriale – non dimentichiamo in tutto questo che Google potrà trarre soltanto grandi benefici economici da un esercito di professionisti ben formati a lavorare per creare ambienti integrati con i suoi prodotti. Il vero rischio è di non trovare più quella variegata fauna di artisti da strapazzo pronti a sperimentare, mettersi in gioco, sbagliare ma spesso anche farci gioire per qualcosa di fresco, nuovo e fuori da canoni e regole, che non avevamo più il coraggio di sperare.

 

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Un tale futuro è tanto più concreto se pensiamo che ad un creativo viene chiesto ogni giorno di più l’impossibile, nella metà del tempo. La tentazione di arrendersi a qualcosa di funzionale, facile da applicare e di gusto – non sempre ma spesso – sarà irresistibile. La cura ossessiva delle esigenze personalissime del cliente potrebbe scomparire sotto la spietata scusa della “produttività” (un cliente che conosce l’ambiente del Material design per averne già fatto esperienza diretta su uno schermo sarà più propenso, fra tante proposte possibili, ad acquistare un prodotto che si adegui a quei canoni credendo che possa essere il meglio anche per lui). La comunità del mondo digitale potrebbe pagare – anche se in piccola misura – il prezzo delle strategie commerciali di Google con una perdita graduale di creatività.

E si, è vero che spuntano pian piano nuove versioni delle linee guida sul Material design figlie di autori parecchio interessanti che pretendono di differenziarsi dall’originale e cogliere meglio, con una propria impronta, l’attenzione dell’utente: purtroppo, sinceramente, non vedo comunque alcuna differenza. In maniera gattopardesca sembrerebbe che tutto cambi perché tutto rimanga uguale.

Non ci rimane che incrociare le dita e incoraggiare ogni coraggioso che vorrà resistere dotato di carta e penna per gli schizzi, righello e gomma per essere più preciso e quelle singolari – spesso proprio folli- tecniche di ricerca dell’ispirazione frutto di anni di conoscenza di sé, del mondo e del mestiere.